Stefano Stefanini
NewTuscia – VITERBO – Non possiamo dimenticare. Il 16 marzo 1978 Aldo Moro fu rapito, in Via Mario Fani a Roma con l’eccidio della sua scorta: a bordo dell’auto di Moro i carabinieri Oreste Leonardi e Domenico Ricci ed i tre poliziotti che viaggiavano sull’auto di scorta: Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi.
La storia, più si allontana dalla cronaca e dall’immediatezza dei fatti, più fornisce dati, circostanze e prove prima nascoste e ricostruzioni attendibili e forse più vicine alla verità dei fatti, per i quali ancora non e’ stata fatta piena luce.
In questo giorno di ricordo del rapimento del prof. Aldo Moro e dell’uccisione delle forze dell‘ordine, di vittime cadute per mano del terrorismo, i lettori ci permettano una riflessione sulla testimonianza politica e ideale di Moro che segnò, tra l‘altro, l’ingresso nell’impegno politico di tanti giovani – diciottenni come chi scrive – che decisero di impegnarsi in politica, dopo il martirio di Aldo Moro.
Il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha più volte ricordato la relazione di Aldo Moro al Congresso della Democrazia Cristiana del 1973: «Noi saremo giudicati sulla base della nostra capacità di interpretare questi fenomeni di liberazione e di prendere su di essi una posizione appropriata».
Moro aveva questa capacità e avvertiva la responsabilità di fornire risposte adeguate alle esigenze reali dei cittadini. E queste attitudini scaturivano anche dall’affetto per l’Italia, dalla considerazione del suo valore umano, dal rispetto e dall’affetto per la gente del nostro paese, per ciascuna singola, concreta, irripetibile persona. “
Aldo Moro, venne rapito il 16 marzo 1978 e fu ucciso il 9 maggio dalle Brigate Rosse. Lo Statista martire per mano delle Brigate Rosse era stato due volte Presidente del Consiglio dei ministri, segretario politico e presidente del consiglio nazionale della Democrazia Cristiana.
“L’immagine del corpo di Aldo Moro nella Renault 4 parcheggiata in via Caetani il 9 maggio del 1978 accese i più reconditi e oscuri timori della nostra nazione. Fu forse il giorno più buio della “notte della Repubblica”: ci scoprimmo fragili davanti alle insidie del furore ideologico degli anni di piombo. Trovammo la forza di reagire e alla fine abbiamo vinto perché le forze migliori del Paese si sono unite nel comune obiettivo di difendere la nostra democrazia. Aldo Moro è stato un grandissimo italiano e uno statista illuminato: la sua eredità è ancora una fonte preziosa di insegnamento e di ispirazione”.
Il barbaro assassinio di Aldo Moro resta una delle pagine più tragiche e oscure della storia repubblicana. Il ricordo del sacrificio di Moro deve unire il Paese nella memoria di tutte le vittime del terrorismo politico.
A sottolinearlo fu Rosy Bindi, che fu assistente del prof. Giovanni Bachelet, giurista, docente di diritto, vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura e presidente dell’Azione Cattolica Italiana, anch’esso ucciso impietosamente dalle Brigate Rosse all’Universita della Sapienza di Roma nel febbraio del 1980: “Quella stagione di cieca violenza non risparmiò nessuna categoria e segnò profondamente la coscienza degli italiani che seppero respingere la sfida alla nostra democrazia senza cedere alla paura, ma facendo leva sui valori e i principi della Costituzione”, ricorda Bindi.
Il 16 marzo 1978, giorno del rapimento dello Statista sarebbe passato alla storia per la votazione parlamentare di fiducia ad un governo nuovo, appoggiato dall’esterno dal Partito Comunista Italiano di Enrico Berlinguer, governo presieduto da Giulio Andreotti, ma frutto della paziente e acuta tessitura e della lungimiranza di Aldo Moro – troppo anticipatorie di novità istituzionali per quella stagione politica e non „gradita“ per alcuni – che nelle “convergenze parallele” del Governo di Unità Nazionale aveva individuato un passaggio cruciale, quanto delicatissimo, di salvaguardia e difesa della Repubblica democratica, minacciata dal terrorismo di varia matrice.
Come nella migliore tradizione costituzionale, i momenti delicatissimi di crisi politico-istituzionale, di carattere internazionale come la guerra, o economica, un “Governo di Unità o di Solidarietà Nazionale” tra tutte le forze responsabili della politica – protagoniste della Rinascita democratica e della Ricostruzione post bellica, saldamente fondate sulla Costituzione repubblicana – rappresentava e rappresenta un baluardo di recupero delle condizioni di normalità istituzionale, per poi riconsegnare, finita l’emergenza istituzionale, l’azione di governo al responso elettorale di una maggioranza che governa efficacemente e di una opposizione che controlla e denuncia eventuali storture di chi amministra il mandato popolare.
Tutto ciò e‘ accaduto in questi ultimi anni, con i governi di emergenza sanitaria ed economica di Giuseppe Conte e in particolare di Mario Draghi, a cui e‘ seguita, dopo il responso elettorale, la costituzione del governo politico di Giorgia Meloni con una maggioranza e un‘opposizione (i) ben determinate.
Aldo Moro e Enrico Berlinguer, insieme ad altri protagonisti politici degli ultimi anni 70 del Novecento avevano dato vita una stagione politico amministrativa „precoce“, precorrendo i tempi attuali, in cui il voto popolare, la determinazione tutta femminile di Giorgia Meloni e di Elly Schlein e la sicura sensibilità istituzionale del presidente Sergio Mattarella sapranno affrontare nell‘interesse pubblico di tutti gli Italiani, e nello scacchiere internazionale, le sfide di progresso che ci attendono.
Così il sacrificio di Aldo Moro, della sua scorta, dei tanti martiri del terrorismo e della lotta alle mafie non sarà stato vano.