Stefano Stefanini
NewTuscia – ROMA – Le regioni italiane intervengono in favore delle aziende agricole colpite dalla guerra in Ucraina e dai maggiori costi dell’energia, per cui servono più liquidità e regole certe. Le Regioni hanno formulato delle proposte circostanziate in tal senso al Governo”, dichiara Federico Caner, coordinatore della commissione politiche agricole della Conferenza delle Regioni.
“Soprattutto l’Unione europea deve modificare alcune condizioni, come il tetto massimo per gli aiuti di Stato, che sostenga le imprese sui maggior costi di carburanti, mangimi e fertilizzanti.
Servono modifiche alla Politica Agricola Comunitaria e al PSN 23-27, spostando temporalmente gli obiettivi al fine di superare la crisi incrementando la produttività agricola. In tal senso servono anche maggiori superfici per coltivare mais, grano, soia e girasole, cercando di limitare i danni alla nostra produzione agroalimentare d’eccellenza e alla zootecnia.
E’ritenuta urgente la disapplicazione delle superfici a riposo e degli obblighi di diversificazione culturale.Fondamentale la deroga alla disciplina degli aiuti di Stato.
Pertanto si ritiene necessario che il quadro temporaneo per le misure legate alla pandemia sia prorogato a dopo il 2023 e che se ne preveda uno specifico per il settore agricolo e agroalimentare.
Sono necessari provvedimenti nazionali immediati per favorire la liquidità delle imprese e sui costi energetici, come la riduzione delle accise sul carburante e dell’Iva.Sono inoltre indispensabili misure di sostegno a determinate produzioni agricole, prevedendo una maggiore attenzione alle culture cerealicole e industriali destinate all’alimentazione umana e zootecnica”.
La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome aveva recentemente approvato un documento di proposte per compensare gli effetti della crisi Ucraina-Russia sul comparto agricolo, agroalimentare e della pesca.
Il testo è stato inviato al Ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Stefano Patuanelli che tra l’altro aveva avuto modo di confrontarsi nella sede della Conferenza delle Regioni.
Il comparto agricolo ed agroalimentare italiano che intravvedeva primi segnali di ripresa si è trovato in questo inizio di 2022 a fare i conti con una crisi generalizzata dovuta all’incremento dei costi di produzione, principalmente collegato ai costi energetici e delle materie prime, aggravata dal conflitto apertosi tra Russia e Ucraina.
Il conflitto si è inserito in un contesto di turbolenza dei mercati delle commodities (cereali, oleoproteaginose) paragonabile a quello della crisi del 2008; turbolenze originate da più cause di natura politica, congiunturale e anche di tipo speculativo, che rendono l’Italia estremamente vulnerabile per il grado di dipendenza dall’estero per gli approvvigionamenti dei principali cereali (grano e mais in particolare), nonché della soia e del girasole.
Tra l’altro il perdurare delle ostilità con il blocco dell’export di fertilizzanti e di cereali da parte di Russia, Ungheria e Bulgaria, i mancati raccolti in Ucraina, l’assenza di mangimi, rischia di determinare una vera e propria crisi alimentare nei Paesi del Mediterraneo che dipendono in modo netto dal grano prodotto in Ucraina, e di innescare un effetto domino su tutto il settore agroalimentare.
L’Ucraina è il quarto produttore al mondo di cereali e importante fornitore per l’Italia di mais, soia e grano, alimentando rispettivamente le filiere zootecnica e della pasta e dei prodotti da forno.
Mais e soia sono presenti in tutte le razioni zootecniche per bovini da latte, da carne, suini e pollame da carne o ovaiole. La mancanza di queste tre importanti commodities rischia di impattare sia sulle produzioni agroalimentari d’eccellenza (pasta, salumi, formaggi, ecc), ma anche sulle produzioni comuni di carne, latte e pane.
La mancata produzione ucraina 2022 genererà una fortissima penuria sia sul mercato mondiale e sia nei mercati di riferimento dell’Ucraina, tra i quali quello italiano.
Nelle intenzioni della Commissione Europea, la strategia della Politica Agricola Comune (PAC), il Green Deal (l’accordo per l’ambiente orientato alla neutralità carbonica) e la strategia Farm to Fork, spingendo a ridurre l’uso di fertilizzanti e finanziando prodotti alternativi sostenibili attraverso la riduzione dell’uso di presidi fitosanitari e le produzioni biologiche, conterrebbero già le risposte adatte a risolvere la crisi alimentare, senza rinunciare alla tutela ambientale.
Purtroppo, la situazione è ben diversa, come dimostrato da diversi studi in materia: la politica di incentivo a sistemi agricoli poco produttivi e economicamente insostenibili va riscritta.
Questa crisi ha cancellato tutte le previsioni di un graduale ritorno alla normalità dopo la pandemia, introducendo nuovi elementi di instabilità economica e l’aumento generalizzato di tutte le materie prime e dell’energia.
Oltre a mettere a rischio la sicurezza alimentare, sta progressivamente e rapidamente erodendo la redditività dell’attività economica su tutta la filiera produttiva ma, in particolare, dell’anello più debole minandone la sopravvivenza
Il periodo delle semine è imminente e la stagione non va persa per limitare i danni. Per rendere effettiva la possibilità di seminare sulle superfici rese disponibili è anche necessario adottare azioni per ridurre i costi anche con interventi su alcune norme in vigore.
Il forte impatto sui costi sostenuti dalle aziende agricole italiane della guerra in Ucraina è documentato dal report del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea), ente di ricerca italiano vigilato dal Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali.
Secondo l’analisi del Crea per effetto del conflitto il 30% delle aziende agricole italiane avrà un reddito netto negativo, rispetto al 7% registrato prima dell’attuale crisi.
A causarlo è un aumento medio dei costi di oltre 15.700 euro.
Lo studio ha calcolato l’aumento dei costi di produzione cui devono far fronte le aziende agricole a seguito dell’impennata dei prezzi.
Secondo il report l’attuale crisi congiunturale può determinare in un’azienda agricola su dieci l’incapacità di far fronte alle spese dirette necessarie a realizzare un processo produttivo, estromettendole di fatto dal circuito: prima della crisi la percentuale era appena all’1%.
Considerando le 6 voci di costo principali di una azienda agricola italiana (fertilizzanti, mangimi, gasolio, sementi/piantine, fitosanitari, noleggi passivi) l’impatto medio aziendale della guerra sui costi è di oltre 15.700 euro di aumento.
Ci sono però forti differenze tra i settori produttivi e a seconda della localizzazione geografica: in termini assoluti le aziende potrebbero subire incrementi dei costi correnti di oltre 15.700 euro, che sfiorano i 99 mila euro nelle aziende che allevano granivori.
Ad essere più penalizzati, con i maggiori incrementi percentuali dei costi correnti (tra il 65 e il 70%), sono i seminativi, la cerealicoltura e l’ortofloricoltura per l’effetto congiunto dell’aumento dei costi energetici e dei fertilizzanti, seguiti dai bovini da latte (+57%) .
Più contenuti, invece, gli aumenti per le colture arboree agrarie e per la zootecnia estensiva. A livello medio nazionale l’aumento dei costi si attesterebbe al +54% con effetti molto rilevanti sulla sostenibilità economica delle aziende agricole.