NewTuscia – VITERBO – Secondo le motivazioni dell’assoluzione in appello della presunta pusher dell’urologo trovato morto 17 anni fa a Viterbo, contro la cinquantenne Monica Mileti ci sarebbero solo indizi fragili e equivoci  ma non elementi concreti. Per il giudice l’accusa si baserebbe sul fatto che la donna era l’abituale fornitrice di droga di Attilio Manca, per cui si era stato ritenuto verosimile che fosse stata lei a cedergli le sostanze stupefacenti in epoca recente e in particolare, la dose che ne ha provocato la morte.

Mileti, il 29 marzo 2017, era stata condannata in  primo grado dal tribunale di Viterbo a cinque anni e quattro mesi di carcere per aver ceduto la dose di eroina letale all’urologo originario di Barcellona Pozzo di Gotto, di 36 anni; l’uomo era stato trovato morto nella sua casa della Grotticella nel febbraio 2004. Secondo la famiglia, sarebbe stato vittima della mafia: il dottore avrebbe operato Bernardo Provenzano ad un cancro alla prostata.

Contro Monica Mileti non ci sono prove dirette che indichino rapporti intercorsi tra lei e Manca  nei periodi recenti ed in particolare in quello oggetto della contestazione, circoscritta intorno 12 febbraio 2004; le testimonianze ascoltate mostravano solo che tra i due c’erano stati rapporti in tempi passati.

Non ci sono prove di un’incontro il giorno prima della tragedia, lui si trovava a Roma dove abita la donna, ma poteva avere avuto altre ragioni per recarvisi. Gli unici elementi sicuri sono i contatti telefonici intercorsi nei giorni immediatamente precedenti la morte di Attilio Manca, comunque non avvenuti con cadenza regolare, e il fatto che  in tempi recenti la Mileti era salita sulla macchina del’uomo.