NewTuscia – Aut Aut di Emanuela Ferruzzi – articolo 5 – So che quando ho presentato la rubrica vi ho promesso di parlare di volti. Non verrò meno alla mia promessa neanche questa volta, ma per ovvi motivi non posso renderli noti.
Questa volta parliamo di adolescenti e bambini, orientandoci necessariamente ad un’età inferiore ai 18 anni. In questo periodo di estreme restrizioni stiamo incassando le conseguenze di un anno di pandemia, di regole diverse e privazioni.
Dalla prima chiusura delle scuole, nel marzo dello scorso anno, questi ragazzi, diciamocelo, non hanno più avuto pace.
Hanno iniziato lenti, proprio come noi adulti, in un mix di incredulità ed eccitazione per il non andare a scuola. Ma già dopo pochi giorni hanno iniziato a voler uscire. Sono stati supportati dai genitori, dalle videochiamate con amici, dalle chat WhatsApp con i compagni di classe, poi ancora da tik tok e dalle storie di Instagram. In un attimo è passata Pasqua, si è usciti dal lockdown, le scuole sono finite, i ragazzi hanno fatto gli esami di maturità ed è arrivata l’estate.
Abbiamo respirato un po’ tutti: i contagi erano decisamente scesi, molti locali aperti, non era proprio la normalità ma ci si avvicinava un po’.
Da ottobre abbiamo ricominciato a vedere su ogni giornale, su ogni programma e social network la parola ‘Covid-19’. L’Italia colorata di bianco, giallo, arancio e rosso. Le scuole hanno iniziato ad avere i primi problemi. “I contagi salgono…Tutta colpa della scuola”. Tutti i ragazzi a casa. Poi si torna in presenza, qualcuno si, qualcuno no, alcuni in DAD, altri in DIN. E poi centri sportivi aperti, dopo poco chiusi. Scuole di ballo aperte, palestre chiuse. I ragazzi possono uscire ma alle 22:00 c’è il coprifuoco, nessun assembramento. È un problema. I ragazzi vivono di assembramenti, di serate che non iniziano prima delle 22:00.
La situazione inizia ad essere fuori controllo, arriva il Natale. I bar aprono, ma fino alle 18:00. Poi tutti a casa. Gli adolescenti sono in giro, ma vengono additati come untori irresponsabili. I più piccoli vedono sporadicamente gli amichetti il pomeriggio quando i turni delle mamme si incontrano, altri sono in quarantena, altri non vedono nessuno perché la mamma del suo amichetto lavora in ospedale e ‘non si sa mai…’.
Po il vaccino si, il vaccino no, si muore, non si muore, si muore più di Covid che di vaccino.
Siamo tutti in un pericoloso limbo.
Noi adulti ‘festeggiamo’ un anno di pandemia, ci preoccupiamo del lavoro, delle ‘cose importanti’, ma qualcos’altro di importante accade nelle menti dei nostri figli, nipoti, figli e nipoti di amici.
Si perdono, non riconoscono la realtà, soffrono.
Un esempio è Eleonora, una ragazza che compirà 17 anni il prossimo settembre. È fidanzata con Francesco, un ragazzo di Valentano (VT) che ne ha 19 e mezzo. Lui lavora in una delle ditte che fortunatamente non ha chiuso, sempre nella provincia di Viterbo. Francesco fa sempre il turno di pomeriggio, finisce alle 21:00. Eleonora di mattina ha la DAD. Non si vedono quasi mai. Eleonora a novembre inizia a faticare a dormire, ha incubi, si sveglia con una strana pesantezza sul petto. No, non è covid, è un’ansia da stress. Piange, non sa perché, o meglio, lo sa, ma fa fatica a scoprirsi così fragile. La sua normalità non c’è più e ha inconsciamente paura che non torni. Gli manca Francesco e la sua vita.
Ansiolitici.
Poi c’è Danilo, ragazzo di 14 anni appena compiuti. Lui gioca a pallone, tifa Inter e adora giocare con i suoi amici; partecipa a tanti tornei. Non può farlo come prima. Anche se la scuola calcio ha aperto più di altre attività non è la stesa cosa. Non ci sono merende e cene post allenamento e le partite sono senza spettatori. Inizia ad essere un po’ svogliato, inizia a saltare qualche sessione. Ogni tanto scrive, cosa che non ha mai fatto. Poi strappa e butta i fogli. Il padre si insospettisce, torna tardi dal lavoro al supermercato, con i segni della mascherina e della visiera sul volto e sulla fronte e le mani screpolate da gel e dai guanti. Prova a parlare con Danilo, ma lui risponde male, cosa che non ha mai fatto, come non è mai stato avverso al calcio. Allora il padre aspetta che Danilo vada a dormire, prende il cesto della camera e ricostruisce due fogli. Danilo sta forse pensando di uccidersi. Vuole farsi del male.
Neuropsichiatra.
E ancora, Lorenzo, 12 anni. Gioca alla playstation; ci gioca molto più del solito da quando c’è il Covid. Si collega con altri giocatori on line. Si agita, si innervosisce, va in panico per ogni cosa, sembra posseduto da qualche entità strana. I genitori non lo riconoscono nemmeno. Gli vietano di giocare on line e a giochi che lo agitino troppo. Sembra sia bastato questo.
Alessio, 5 anni; Da quando è iniziata la pandemia è stato 3 volte in quarantena. Una volta per una bambina positiva nella sua classe, un’altra volta i genitori con il Covid e l’ultima volta lo ha avuto lui. Non vuole più uscire di casa, è irrequieto, dorme poco e passa almeno due ore al giorno abbracciato alla coscia sinistra della sua mamma. Non dorme più nel suo letto e quando ha incontrato un suo amichetto, circa un mese fa, non è riuscito a parlare.
Ultima, ma non ultima, Marzia, 13 anni. Disperata al limite della ragionevolezza perché i genitori le hanno proibito di utilizzare Tik Tok dopo il caso della sua coetanea rimasta uccisa per una stupida sfida sullo stesso social network. Marzia minaccia di buttarsi dalla finestra se non le fanno reinstallare l’app. Quasi ci riesce. Comportamenti fuori binario e irrazionali dettati dallo stress.
Tranquillanti.
La lista non è infinita ma lunghissima. Considerate che questi volti che vi ho raccontato ma non posso farvi vedere sono tanto vicini alla nostra provincia, non occorre cercare molto lontano. I ragazzi stanno soffrendo. I più piccoli, in età da asilo, hanno sonno alterato e comportamenti non equilibrati. Quelli più grandi sono in balia degli eventi, ma è la fascia che reagisce meglio statisticamente parlando. I ragazzi delle scuole medie sono colpiti, quelli delle superiori forse ancora di più.
È aumentato il lavoro per psicologi e psichiatri. È aumentata la preoccupazione dei genitori così come le tensioni in famiglia.
Il fatto è che noi adulti abbiamo da pensare, abbiamo da fare, pensiamo al lavoro, siamo presi dalle scadenze, dalle bollette, pensiamo al futuro dei nostri figli e magari non osserviamo troppo il presente. Siamo proiettati in avanti, depressi, ma proiettati. I ragazzi, invece, vivono della leggerezza dell’infanzia e dell’adolescenza, non hanno i nostri stessi ritmi e ciò che per noi è trascurabile, per loro è essenziale. La maggior parte delle attività che solitamente svolgono i ragazzi si trova fuori casa. Per loro il limite della libertà è un problema che avrà delle ripercussioni sul loro modo di essere e di relazionarsi con il prossimo. Molti di loro non hanno la maturità, data la tenera età, per affrontare un cambiamento di questa portata.
Dobbiamo proteggerli, aiutarli affinché questa pandemia non peggiori la situazione. Parliamo loro con empatia e comprensione. Mettiamoci nei panni di Eleonora che soffre perché non può vedere il suo fidanzato. D’altronde nemmeno noi a 16 anni l’avremmo presa bene. Mettiamoci nei panni di Danilo che si sente recluso, in trappola, e non può fare quello che per lui è uno scopo oltre che uno sport. Mettiamoci nei panni di Lorenzo, che si innervosisce per un non nulla. Forse in questi vestiti ci siamo già. Pensiamo ad Alessio che, come molti di noi, fa fatica a dormire e brama il contatto.
Pensiamo che, a prescindere dall’età, stiamo attraversando una fase della nostra vita mai affrontata prima. Pensiamo che esistono problemi che si notano meno di altri, ma che avranno dei serissimi spazi nella nostra prossima futura società.
Pensiamo soprattutto che, sì, ne usciremo prima o poi, ma dovremmo ricordarci di sanare tante ferite. Iniziamo a farlo da ora, apriamo le orecchie e ascoltiamo tanto, cerchiamo di interpretare i silenzi dei più giovani e aiutiamoli a capire che, anche se non sembra, comprendiamo le loro angosce. Rassicuriamoli del fatto che tutto questo cambierà e che quello che provano è assolutamente normale. Ah… la normalità, che meraviglia!
Emanuela Ferruzzi