NewTuscia – VITERBO – Torneranno in aula il 22 febbraio davanti alla Corte d’Assise capitolina le dieci persone condannate in primo grado. Dopo l’arresto durante l’operazione Erostato e la successiva condanna per associazione di stampo mafioso a 13 anni e 4 mesi e a 12 anni di carcere risalente all’11 giugno 2020 con il rito abbreviato, Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi, ricorreranno in appello.

Insieme a loro sono ricorsi la compagna di Trovato, Fouzia Oufir, Sokol Dervishi, Gabriele Leazza, Gazmir Gurguri, Shkelzen Patozi, Spartak Patozi, Luigi Forieri e la commessa di Trovato, Martina Guadagno, seppur assolta dall’accusa di associazione di stampo mafioso e rimessa in libertà dopo la condanna a due anni e quattro mesi per favoreggiamento.

La difesa contesta, in primo luogo, l’insussistenza per difetto degli elementi costitutivi del reato, a cominciare con i rimandi alle origini calabresi di Trovato e quelli a connotati apparsi sulle cronache giudiziarie degli anni ’80. Il presunto boss non avrebbe messo paura a nessuno, dunque secondo il suo legale, era “un calabrese di poco conto”, come dimostrano le numerose dichiarazioni nei suoi confronti senza timori di alcun tipo. Circostanza che andrebbe a contrapporsi allo stato di assoggettamento ed omertà delle presunte vittime riconosciuto dal giudice come dimostrato.

Poi il legale passa alle armi; l’arsenale di cui Trovato Disponeva, corrispondeva ad una pistola dalle dubbie potenzialità che doveva servire a mettere fine alla concorrenza sleale degli altri imprenditori del settore dei compro oro nei suoi confronti. Viene contestata anche l’associazione tra lui e il gruppo albanese in quanto il compro oro e la presunta banda sarebbero solo concorrenti nei singoli reati.

Infine secondo il suo difensore, anche Trovato sarebbe una vittima. Dalle intercettazioni emergerebbe come anche lui abbia subito atti intimidatori.