Gaetano Alaimo

NewTuscia – VITERBO – Ci ha lasciati anche Paolo Rossi, l’eroe del Mundial 1982 in Spegna. Aveva soli 64 anni. Un altro tuffo al cuore. Questo maledetto 2020 (ed io non sarei scaramantico) ci ha fatto perdere tanti big di ogni settore. Da Ennio Morricone a Gigi Proietti passando per Sean Connery, tanto per citarne alcuni non sportivi. Se allarghiamo losguardo allo sport il 2020 sarà ricordato ancora di più per lutti illustri ed incolmabili: il 25 novembre ci ha lasciati il più grande di sempre del pallone, Diego Armando Maradona e, poche ore fa, Paolo Rossi, probabilmente il più grande cannoniere azzurro di sempre.

Diego Maradona e Paolo Rossi se ne sono andati a distanza di due settimane l’uno dall’altro: furono i protagonisti assoluti dei Mondiali del 1982 e 1986.

In Spagna Paolo Rossi fu l’alfiere per la vittoria dell’Italia con 6 gol diventando il capocannoniere del Mundial di Spagna (nello stesso anno vinse anche il Pallone d’Oro, exploit riuscito solo a Ronaldo nel 2002 col Brasile). Il Pibe de oro Maradona fece il Pablito nel 1986 in Messico con il Mondiale vinto grazie alle sue magie con un’Argentina non all’altezza del suo genio. Maradona in Messico fece due gol che rimarranno nella cineteca del pallone (quello che gli fruttò il soprannome  “La mano de Dios” con l’Inghilterra e, sempre con i biancorossi, per la storica galoppata in cui scartò sei giocatori compreso il portiere e fece gol).

Paolo Rossi verrà ricordato in eterno come l’eroe azzurro che castigò la presunzione dei sudamericani, in particolare dei brasiliani, che, pur con una formazione da sogno, dovettero fare i conti con un’Italia compatta e consapevole dei propri mezzi e, in particolare, con il killer d’area di rigore che era Rossi. Erano i quarti di finale del Mondiale 1982 e l’Italia doveva per forza battere sia l’Argentina (con un Maradona in più) che il Brasile dei Falcao, Zico, Socrates e Junior. Ci pensò subito lui, Pablito, a correggere in rete con un perfetto colpo di testa un cross millimetrico di Cabrini servito altrettanto precisamente, dalla fascia destra, dall’altro compianto, Gaetano Scirea. Erano momenti quasi paradisiaci per me come per tutti gli Italiani. Una tensione che si prova personalmente quando ci sono le grandi sfide della vita e, la partita col Brasile, fu per tutti gli Italiani quasi un momento di sfida personale, una prova di maturità come Nazione.

Lo fu anche per me, a 7 anni, con mio padre che era pazzo di gioia. C’era anche mia madre Anna, purtroppo deceduta nel dicembre di quello stesso 1982. Ricordo intensamente la gioia di un 33enne amante della Nazionale, mio padre, che era folle di gioia quando l’Italia passò grazie a Rossi prove indicibili come Brasile, Argentina e Germania Ovest. Era un’Italia d’altri tempi. Gli anni Ottanta vedevano un Bel Paese dilaniato, con strascichi dagli anni Settanta, dagli attentati politicizzati e dall’inflazione galoppante. Era l’Italia di Sandro Pertini che, pochi giorni dopo il Brasile battuto da Pablito, avrebbe festeggiato come primo degli Italiani il gol di Rossi prima, di Tardelli poi (ancora mitica la sua corsa e le sue urla dopo il gol ad Harald Schumacher) e Altobelli. Anche io ero in quella macchina, una 127 top blu notte col tettuccio apribile: sembrava fatta apposta per festeggiare l’Italia con la bandiera tricolore che tenevo in mano affacciandomi dal tettuccio.

“Cosa importante – disse Paolo Rossi nel documentario televisivo della partita coi verde-oro – è che non mi è mai mancata la fiducia dell’ambiente, dei giocatori, dell’allenatore. Questo per me è stato fondamentale, perché non era tanto la condizione fisica che mi mancava, quanto una condizione mentale”. Era un Rossi concentrato e consapevole di rappresentare un’intero Paese in quei 90 minuti. Pochi minuti ed arrivò la doccia fredda del gol del “dottore” Socrates con un perfetto diagonale, 7 minuti dopo il gol di Rossi. Ma il vero killer da rete si vide pochi minuti dopo, al 25°: un blando passaggio di Cerezo indietro, con due giocatori scoordinati rispetto alla traiettoria del pallone, vide il fulmineo inserimento di Rossi che, scaretando Junior, con una piccola rincorsa, mise dentro per il 2-1.

Nel secondo tempo fu Zoff a salvare in tante occasioni dal pareggio fino al 68°, quando Falcao, prossimo condottiero dello scudetto giallorosso della Roma, con un tiro dal limite dell’area ed una leggere deviazione di Bergomi riportò la situazione sul 2-2. Al 74′, infine, la zampata felina e vincente davanti alla porta brasiliana per il 3-2 finale con l’Italia in semifinale (poi vincente in finale con la Germania Ovest). Rossi segnerà un’altra clamorosa doppietta in semifinale con la Polonia (con il tabellone del Camp Nou di Barcellona che lo definirà El hombre del partido “l’uomo partita”) e il primo gol nella finalissima con i tedeschi.

Indole introversa, Paolo Rossi era quello che si può considerare il classico “rapinatore” d’area di rigore: non fisico possente ma agile e pronto sempre a trovarsi al posto giusto nel momento esatto per fare gol.

Dopo Diego Armando Maradona se ne va anche Paolo Rossi: il calcio piange due grandissimi. E, con Rossi, se ne va anche un ‘Italia che non c’è più.

Ciao Paolo!