Sei mesi di governo Sgarbi, in quel di Sutri, hanno generato più scompiglio – com’era facilmente prevedibile – di almeno cinque secoli di tedio e lenta agonia di un paese vissuto sino ad oggi nel più oscuro anonimato di modesti amministratori locali.
Ma Vittorio Sgarbi ha portato una ventata, anzi un uragano tempestoso di vitalità, nella sonnolenta e apatica provincia viterbese. Voluto, rigettato, ambito, rifiutato, accarezzato, vituperato, il suo compito è sempre quello di dividere, Sgarbi è come Satana, libero d’esser sempre “contro”. Ondivago, sfuggente, polimorfo, contraddittorio, ora è a Destra, più a Destra di tutti e nel contempo sta a Sinistra, liberale libertino. La vita del piccolo paese circondato da noccioleti non è e non sarà più la stessa, i suoi cittadini hanno scoperto all’improvviso l’esistenza di un vasto (e pauroso per molti) mondo esterno grazie a lui. E Vittorio Sgarbi per ripagare coloro che lo hanno votato, flirta con l’opposizione, in segreto e in pubblico, poi s’infuria, denuncia, torna indietro e lo rifà in una perenne carola, una passacaglia o forse un minuetto mozartiano dal quale non riesce più ad uscire, auto imprigionato com’è ormai, da troppo tempo, nel proprio personaggio.
E lo amano i suoi nemici e lo odiano coloro che si tiene stretti a Villa Savorelli, circonfuso da qualcuno in disperata ricerca di visibilità e di un’esistenza men che fittizia. Meraviglie di una giunta priva di qualsiasi autonomia operativa e intellettiva, là dove soltanto un caso di attacco verbale ha sollevato le maree estive e un altro consigliere è riuscito nell’impresa di creare un gruppo misto composto solamente da sé stesso. Per il resto è il nulla del “vorrei ma non posso”, delle teste basse, degli occhi che guardano sempre in terra, dell’assenza pressoché totale di idee e di pensieri autonomi, fino ad arrivare all’acme dello straniamento, quando persino l’assessore che dice di far riferimento alle forze di destra, in sede di consiglio, vota a favore della concessione della cittadinanza onoraria al sindaco di Riace: Mimmo Lucano.
“Grande è la confusione sotto il cielo” dice il saggio cinese, ma Amleto ricorda che “c’è del metodo nella sua follia” e, di fatto, chi la primavera scorsa ha votato per una parte, oggi si ritrova con l’opposizione.
Uno Sgarbi che va e torna, ruota, fa la giravolta, rinuncia e prospetta dimissioni che mai darà, almeno finché può divertirsi con quel nuovo balocco che è il Museo di Palazzo Doebbing, ma purtroppo l’età giunge per tutti portandosi dietro i suoi mali e, forse, non è tutt’oro ciò che brilla.
Con la cittadinanza a Lucano, più che con ogni altra stravaganza, a cominciare dall’eccesso bulimico di targhe, più che di strade, da vorticosi cambi di direzione stradale, da vasi umbri e da un disperato tentativo di nobilitare culturalmente un luogo che non ritiene (erroneamente) di doverlo essere, ha dato la cifra e il segno preciso della caratteristica ondulatoria dell’attuale amministrazione. Il tutto nel silenzio assenso di coloro che agiscono, come sempre, nella penombra dei vicoli del borgo, muovendo le loro pedine in un gioco che non è né scacchi né dama ma un più banale “gioco dell’oca”.
Ogni cosa ormai volge al proprio destino finale, inutile dire all’immagine riflessa nello specchio “fermati sei bello!”. Il tempo è finito, la candela è stata accesa da entrambi i lati troppo a lungo e finirà per spegnersi con un sbuffo irriverente.
Candida Pittoritto
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