di Serena Biancherini

NewTuscia – SAN LORENZO NUOVO – Dopo “Il resto di niente”, a San Lorenzo Nuovo prosegue con i suoi appuntamenti Noi e gli altri – percorsi di cinema, il progetto che, attraverso la biblioteca, e supportato dalla Regione Lazio, è stato inaugurato venerdì 16 novembre nella Sala consiliare del comune.

L’iniziativa prevede l’esposizione di tre proiezioni di Antonietta De Lillo, fondatrice della casa Marechiarofilm, per alimentare una sinergia tra cinema e letteratura che permetta di aprire una prospettiva più completa sulla vita. I film, diversi per genere e formato, hanno lo scopo di approfondire le dinamiche sociali e il rapporto con se stessi e gli altri, partendo da un io, con tutto quello che di egoistico e pregiudizievole che ne consegue, per arrivare ad un noi più consapevole, stanando pregiudizi e facendo emergere i punti di forza del carattere attraverso il saggio dei propri limiti.

La protagonista di questa serata, venerdì 30 novembre, è stata Alda Merini con una video intervista di 50 minuti.

Letteratura e cinema, un dialogo tra due generi artistici sempre più complementari, per fare un video-ritratto della poetessa scomparsa nel 2009. La figura di questa donna, questa madre e questa scrittrice esaminata dalla sua stessa acuta percezione ha mostrato il ruolo cruciale dell’arte del saper comunicare, di trovare nuovi modi per esprimersi per far si che la controversia di un carattere, senza  annullarsi di fronte a se stessa, lasci trasparire ciò che è più vicino all’io reale.

Protagonista e critica allo stesso tempo di questo film – intervista ha dimostrato anche che scrivere e recitare non sono in fondo che una variazione della nota che si usa per raccontarsi e capirsi; recitare indica sostenere una parte, ma per gli antichi romani era fare l’appello delle persone citate in tribunale, citare un test in giudizio più volte e fargli ripetere la sua versione fino a scoprire quello che più si avvicina alla verità. E cos’è la scrittura, la poesia, se non la perfezione estetica dei significati più reconditi? È creare un’immagine con le parole che si avvicini il più possibile alla realtà soggettiva.

Forse le incomprensioni e pregiudizi verso gli altri nascono proprio dal fatto di non saper prendere atto del compromesso che la visione che abbiamo di noi stessi ci impone nel modo di proporci. Questo progetto rappresenta una mediazione per comprendere ciò attraverso la storia della vita dei personaggi, siano essi reali o immaginari, che va oltre quella del loro tempo.

Alda lo ha messo in chiaro in questa intervista che risale al 1995, presentandosi spoglia di illusioni, con lo smalto quasi consumato alle unghie, senza altro ornamento, oltre ai grandi occhi espressivi, della sua casa nelle condizioni abituali, avvolta in un disordine cronico imbrigliato nei ricordi, che è in fondo una risposta alla mancanza di commensali: la solitudine di chi ha conosciuto l’allegria dei figli e li ha visti allontanarsi.

E qui entra in campo una componente fondamentale della vita della Merini, il manicomio. Un dolore che è esterrefatto, racconta, che non ha lacrime, dove spesso si trovano più malati di vita che veri pazzi e la vita non è che l’incubo di se stessa quando il cuore si ferma nella scarica dell’elettroshock e tutto ciò che era immediatamente prima o dopo si cancella.

Un diario scritto dieci anni dopo, a freddo, riporta le sensazioni di quelle intermittenze nel suo vivere il presente.

Il momento, forse proprio a causa dell’ombra del manicomio, lo ha vissuto sempre con tutta l’intensità dei sentimenti e la profondità dell’intelligenza, scansando luoghi comuni e ribellioni volte più che altro a mantenere un punto che non sta mai fermo, un punto che per lei, invece, con gli anni diviene una vecchiaia consapevole, quasi giocosamente cedevole nell’affermare che l’amore è una debolezza, non per questo meno importante o bellissima, e la paura che vi vediamo è solo il riflesso di quelle personali, di debolezze.

Il secondo appuntamento della mini rassegna è stato il baricentro del passaggio dalla trasposizione cinematografica alla realtà della vita. Se il primo filmato era un excursus attraverso la guerra che sottolineava la povertà di un mondo in rovina e faceva da sfondo alla vita della protagonista, l’ultimo, Il signor Rotpeter, sarà un colpo dritto al cuore della indifferente leggerezza di cui anche i migliori ogni tanto potrebbero dar prova.

La storia pone davanti ad uno specchio la cui immagine apparirà in un primo tempo distorta e inverosimile, essendo quella di una scimmia, ma con il passare dei minuti si adatterà prima alla nostra ombra, poi ai suoi contorni e infine lascerà la nostra impronta. L’appuntamento è per venerdì prossimo, il 14 dicembre, alle 21.30 ed rivolto a tutti gratuitamente, ma un invito particolare va fatto ai giovani che oltre ad avere la possibilità di capire hanno facilitata anche quella di apprendere.