Stefano   Stefanini

NewTuscia – ORTE – Si terrà sabato 24 marzo alle  ore 17.00 La seconda conferenza del 2018  di Palazzo Roberteschi dedicata a: “La corte del sultano e la Turchia del ‘500 viste da un viaggiatore veneziano”  e tenuta dalla dott.ssa di Nadia Proietti .  L’organizzazione dell’evento è a cura del direttore della Biblioteca dell’Ente Ottava Medievale di Orte, Abbondio Zuppante.

Dalle fonti storiche di  Maria Pia Pedani nel saggio “Venezia e le culture mediorientali” e di Daria Perocco, “Viaggiare e raccontare. Narrazione di viaggio ed esperienze di racconto tra Cinque e Seicento” di Giorgio Vercellin, “Venezia e l’origine della stampa in caratteri arabi”, abbiamo dedotto queste brevi note introduttive alla conversazione tenuta dalla dott.ssa Nadia Proietti.

Dalla documentazione storica dei viaggiatori dell’epoca  si deducono i  contatti tra le due società —veneziana e turca— ci si potrebbe aspettare un’abbondanza d’influssi reciproci che, purtroppo, furono limitatissimi, soprattutto se si guarda nel senso dell’impronta turca su Venezia.

Si può ipotizzare una spiegazione sfaccettata con più aspetti. Non soltanto gli “Ottomani” rappresentano — a Venezia e in Dominio— il Nemico per eccellenza (un po’ come il Diavolo) contro il quale si fanno tante guerre, ma la loro forma istituzionale di monarchia assoluta e tirannica è concepita come un rischio per la pregiata “libertas veneziana”,  che nella lettura politica cinquecentesca significa indipendenza della città lagunare, unita alla nobiltà del ceto dirigente.

 

Nella letteratura « turchesca » sopra presentata, numerose sono le notazioni come quella di Paolo Giovio : … ho ritovato che ‘l principio di quella [potentissima casa omana] è nato da pecorai di Tartaria …, che spiega con l’origine rozza e volgare dei figli di Osman, la loro violenza, la loro arroganza e il loro assolutismo.

“Per giunta, la società turca è costruita secondo criteri che capovolgono totalmente la gerarchia sociale. In effetti,   pone  in alto un sultano che esercita la deità in terra e che è padrone senza riserva della vita, dell’onore e dei beni dei sudditi quando il doge veneziano è totalmente vigilato dal potere collettivo del Senato e delle magistrature. Poi i militari sono il nervo della potenza e quelli che hanno imparato le arti meccaniche sono padroni della potenza economica, mentre letterati, sacerdoti e gentiluomini sono trattati miseramente. L’influsso turco sulla Venezia cinquecentesca non ha superato un livello superficiale e essenzialmente materiale perché i due popoli non si sono mai profondamente capiti e non hanno mai accolto le differenze dell’altro con interesse e curiosità.”