Simone Stefanini Conti

lavoroNewTuscia – La crisi ha allentato la morsa sull’Italia e il miglioramento ora comincia a emergere non solo dai dati strettamente economici ma anche dal Bes, l’indicatore di Benessere equo e sostenibile, quella sorta di ‘Pil dal volto umano’ che ormai da quattro anni viene sondato dall’Istat. Siamo in attesa dei dati del 2017 che verranno resi noti a fine anno.

Da notare  comunque che da quest’anno nel Documento di Economia e Finanza 2017 è stato inserito l’allegato “Il benessere equo e sostenibile nel processo decisionale” , presentato dal presidente del Consiglio dei Ministri, Gentiloni e dal ministro dell’Economia e Finanze, Padoan e deliberato dal Consiglio dei Ministri l’11 aprile scorso.

Il BES, Benessere equo e sostenibile, è il nuovo sistema di misurazione del progresso e della qualità della vita integrata  della società italiana, proposto dall’Istat. Riuscirà a dare nuove risposte  ai quesiti della così detta  “economia della felicità” e la rilevazione della qualità della vita per sollecitare una nuova ripresa socio-economica ?  Il Sud, dove le entrate medie familiari sono del 37% inferiori al centro-nord, resta indietro. Mentre l’aumento generale del reddito pro-capite (+1% dal 2014 al 2015) non ha ridotto le diseguaglianze sociali, anzi, il divario è «il più alto dell’ultimo decennio». C’è un Paese in ripresa e un altro che ristagna o va all’indietro,in attesa dei dati sul BES 2017.

Dai dati disponibili nel 2015 la quota di persone a rischio di povertà è salita al 19,9% dal 19,4% del 2014, e la povertà assoluta ha raggiunto il 7,6% della popolazione, pari a 4 milioni e 598 mila persone: a stare peggio sono soprattutto le famiglie con due o più figli e quelle straniere. Nel Mezzogiorno il rischio povertà ha riguardato  il 34% degli abitanti, una quota tripla rispetto al Nord. Gli anni di crisi hanno lasciato cicatrici anche sul piano sociale e civile. Nel complesso resta «molto bassa la soddisfazione per le relazioni interpersonali » e scende la «partecipazione civica».

Si conferma il sentimento di lontananza di larga parte della popolazione dalla politica e delle istituzioni: la fiducia è minimale verso i partiti ma è insufficiente anche per Parlamento, enti locali e magistratura. Oltre la sufficienza si piazzano solo Forze dell’Ordine e Vigili del fuoco. Nel complesso sale la sensazione di benessere soggettivo, con ancora una percezione dell’incertezza sul futuro.

Il dossier prende in considerazione 12 indicatori principali. Migliorano la soddisfazione per la vita, l’occupazione, l’istruzione, la salute e l’ambiente. Sono stabili condizioni economiche minime, la qualità del lavoro, le relazioni sociali e il reddito. In calo condizioni economiche minime e qualità del lavoro, mentre regge la longevità degli italiani rispetto agli altri paesi europei.

truffe-anzianiGià nel biennio 2015-16 si sono registrati segnali di miglioramento rispetto al 2013 (il punto più basso della crisi economica) per quanto riguarda la soddisfazione per la vita, l’occupazione, l’istruzione, la salute e l’ambiente. C’è stabilità nelle condizioni economiche minime, la qualità del lavoro, le relazioni sociali e il reddito. Nel confronto su un orizzonte più lungo, rispetto al 2010, emergono trend positivi per salute, ambiente, istruzione e un recupero completo per l’occupazione. Livelli lievemente inferiori si registrano invece per il reddito, le relazioni sociali e la soddisfazione per la vita. Divari sono ancora rilevanti per condizioni economiche minime e qualità del lavoro. Nel complesso siamo sopra i livelli medi del 2013 mentre il recupero è ancora parziale nel confronto con il 2010. Scandagliando le diverse aree tematiche il rapporto conferma che l’Italia è uno dei Paesi più longevi d’Europa. Ma l’aumento delle vita media si è interrotto: nel 2015 siamo scesi a quota 82,3 anni, da 82,6, con un aumento della mortalità nella popolazione anziana.

Migliorano gli indicatori relativi all’istruzione e anche per quanto riguarda il lavoro proseguono i segnali positivi, con il tasso di occupazione che torna a superare la quota del 60% tra i 20 e i 64 anni ma è ancora lontano dal 62,8% pre-crisi e non diminuisce il divario con l’Ue. Si registra inoltre un’accelerazione delle transizioni verso lavori a tempo indeterminato (+4,1%) e una diminuzione della quota di lavoratori ‘fortemente vulnerabili’ (scesa dal 10,2% all’8,6%). Resta invece costante la quota di lavoratori con bassa remunerazione e tra gli elementi negativi va citata anche la crescita dei sovraistruiti (chi fa un lavoro al di sotto del suo livello di istruzione) che passa dal 23,0% al 23,6% e aumenta soprattutto nel Mezzogiorno. Infine resta alto ma si riduce al 25,7% il numero dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano.