Avv. Vanessa Ercoli
NewTuscia – Quello dell’adozione è un tema molto delicato. Sono molte le persone adottate che desiderano conoscere le proprie origini, dare un volto ai propri genitori biologici, sapere se hanno fratelli o sorelle.
Purtroppo o per fortuna, però, con l’adozione cessa ogni rapporto dell’adottato con la famiglia d’origine.
La legge sull’adozione, infatti, prevede il divieto di circolazione delle informazioni relative al rapporto instaurato tra gli adottanti e l’adottato, non solo per evitare il rintraccio e le interferenze inopportune da parte della famiglia di origine, ma anche per garantire il rispetto di un fondamentale diritto dell’individuo: quello alla riservatezza e al riserbo sulle proprie vicende personali.
Il legislatore, in quest’ottica, ha, pertanto, previsto che qualunque attestazione di stato civile riferita all’adottato debba essere rilasciata con la sola indicazione del nuovo cognome e con l’esclusione di qualsiasi riferimento alla maternità e alla paternità del minore e dell’annotazione della sentenza definitiva di adozione a margine dell’atto di nascita dell’adottato da parte dell’ufficiale dello stato civile.
L’ufficiale di stato civile, l’ufficiale di anagrafe e qualsiasi altro ente pubblico o privato, autorità o pubblico ufficio debbono rifiutarsi di fornire notizie, informazioni, certificazioni, estratti o copie dai quali possa comunque risultare il rapporto di adozione, salvo autorizzazione espressa dell’autorità giudiziaria.
All’interno della famiglia adottiva è, però, fondamentale che i rapporti siano trasparenti e improntati alla verità. Motivo per cui, la legge richiede la collaborazione dei genitori adottivi, i quali hanno l’importante compito di informare il figlio adottivo sulla sua condizione.
I genitori adottivi possono scegliere i modi e i termini che ritengono opportuni per la rivelazione, ma non possono sottrarsi a tale compito, configurandosi oggi, in capo all’adottato, un vero e proprio diritto a conoscere la propria condizione.
Nonostante un impianto normativo improntato alla tutela della riservatezza di tutti i protagonisti del rapporto adottivo la legge n. 149/2001 ha modificato l’art.28 della legge n.184/1983 in materia di accesso alle origini, consentendo all’adottato venticinquenne che sia stato riconosciuto alla nascita di accedere alle informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici. Se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica l’età minima richiesta si riduce a diciotto anni.
Anche i genitori adottivi possono avere informazioni sull’identità dei genitori biologici ma solo se sussistono gravi e comprovati motivi e su autorizzazione del Tribunale per i Minorenni.
Il Tribunale per i Minorenni del luogo di residenza dell’adottato può autorizzare l’accesso a tali informazioni a conclusione di una procedura che prevede l’audizione delle persone di cui ritenga opportuno l’ascolto e l’assunzione di tutte le informazioni di carattere sociale e psicologico al fine di valutare che l’accesso alle notizie suddette non comporti un grave turbamento all’equilibrio psicofisico del richiedente.
Conclusa l’istruttoria e qualora lo ritenga opportuno, il Tribunale per i Minorenni può autorizzare con decreto l’accesso alle notizie richieste.
L’autorizzazione del Tribunale non è necessaria quando la richiesta provenga da un adottato maggiorenne, anche se non ha ancora compiuto i venticinque anni, i cui genitori adottivi risultino deceduti o irreperibili.
Allo stesso tempo, la madre biologica, nel nostro ordinamento, ha diritto di dichiarare, in seguito al parto, di non voler essere nominata nell’atto di nascita.
Questa opportunità che la legge offre alla madre di restare anonima risponde all’esigenza di tutelare la gestante che si trovi in difficoltà economiche o personali, alla quale è offerta in tal modo la possibilità di partorire in una struttura sanitaria e contestualmente tutelare il nascituro, diminuendo le scelte di aborto, gli abbandoni di neonati in condizioni rischiose e gli infanticidi.
Nel caso in cui la madre abbia dichiarato di voler rimanere anonima e non abbia riconosciuto il figlio la ricerca delle origini da parte dell’adottato diventa più complicata. La disciplina legislativa previgente, infatti, prevedeva che si potesse accedere alle informazioni riguardanti la madre al momento del compimento dei cento anni dalla nascita del figlio. Ora, invece, grazie alla sentenza della Corte Costituzionale n. 278/2013 che ha dichiarato l’incostituzionalità del comma VII dell’art. 28 L. 184/1983 “nella parte in cui non prevede – attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza – la possibilità per il giudice di interpellare la madre – che abbia dichiarato di non voler essere nominata…” si è aperto uno spiraglio.
Tale sentenza è arrivata dopo la condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a causa di una normativa che non stabiliva un equilibrio tra l’interesse della madre biologica a rimanere anonima e quello del figlio a conoscere le proprie origini. Pertanto ora il Tribunale dovrà, su richiesta dei figli, interpellare le madri che avevano richiesto l’anonimato per verificare se le stesse vogliano mantenere la riservatezza o se, invece, abbiano cambiato idea.
La conoscenza delle origini contribuisce a formare l’identità di ogni individuo ed è, dunque necessario tenere conto di un bisogno di sapere che non è necessariamente indice di una volontà di rottura con la famiglia di adozione o di ricostruzione, spesso difficile, di legami con la famiglia di origine, ma risponde semplicemente ad una esigenza di completezza della personalità.
Ritengo, quindi, giusto che venga riconosciuto il diritto alla conoscenza delle proprie origini, cosicché ciascuno possa avvalersene nei tempi in cui lo ritenga opportuno, o anche mai. La cosa più importante è dare a queste persone l’opportunità della scelta.