NewTuscia – VITERBO – S.Angelo è una piccola frazione di Viterbo e non possiede molte attrattive storiche.

Possiede, però, alcuni luoghi secolari che sono cari ai suoi abitanti.

Uno di questi è la fontana che sorge presso la chiesa settecentesca dedicata a S. Michele Arcangelo. La fontana, un manufatto semplice, contadino, era in secca da parecchi anni: quindici o venti (a parte un breve intervallo di tempo). La vasca s’era colmata di sporcizia, un fico selvatico aveva cominciato a spaccare la pietra, i dintorni s’avviavano a divenire una piccola discarica a cielo aperto.

In queste ultime settimane, perciò, alcuni abitanti hanno deciso di porre fine a tale stato di cose. Accertato che le vene d’acqua erano ancora fresche e fluenti, essi hanno regolato con pazienza la portata della sorgente, riparato le tubature (rotte o usurate in parecchi punti) lungo tutto il percorso, ripulito alcuni condotti ostruiti, costruito sfiatatoi. È stato un lavoro duro, costante, impegnativo, pari a quello del restauratore alle prese con un mobile vecchio e malandato, ma a cui non vuole rinunciare perché é legato a esso da un rapporto di nostalgia e affetto.

E gli sforzi sono stati premiati.

Il 30 agosto dalla fontana è ripresa a sgorgare l’acqua della sorgente del Conicchio, pura acqua di S. Angelo.

Un piccolo successo che ha inorgoglito gli abitanti per una serie di motivi, che elencherò.

Il primo motivo è quello del degrado. Degrado chiama degrado, e ancora degrado, all’infinito. Se qualcuno non si mette lì con l’intento preciso di fermarlo, il degrado avanza come una macchia di sporcizia e indifferenza e menefreghismo sino a sommergere tutto. È stato importante fermare questo processo.

Il secondo motivo. Quell’acqua non è acqua qualsiasi, data da un servizio, e pagata con un bollettino alla posta o in banca, ma un bene che nasce spontaneamente nella nostra terra, da una sorgente che è stata scoperta, incanalata con cura e mestiere dai nostri antenati e bisnonni molti decenni fa, con la sola forza delle loro braccia: sprecarla era, quindi, un affronto alla nostra terra. È giusto, perciò, avere rimediato a questo.

Il terzo motivo è il più importante. Avere cura di un monumento o di un luogo o di un manufatto tanto antico, semplice, ma bello, che ha regalato vita a tutto un territorio significa avere cura delle vite che popolano quel territorio stesso. In un certo senso quella fontana nei secoli non è più una semplice cannella che dona acqua, ma il simbolo dell’unità di chi vive a S. Angelo. Non è un caso, che a mano a mano che i lavori di restauro e ripristino proseguivano (con fatiche e intoppi), sempre più gente si incuriosiva, dava una mano, s’interessava, prestava la propria competenza, suggeriva idee, sperava assieme a noi oppure regalava qualche piccola offerta per supportare le spese vive.

Il passato non passa mai e riscoprire luoghi e cose, tornare ad ammirarle nella loro funzionalità e pienezza equivale a ritrovare l’unità e la forza di una comunità.

 

Gianluca Chiovelli

Presidente Ass. Cult. ACAS