Loredana Vaccarotti

renzi salvini

NewTuscia – A grande richiesta, mi occuperò anche questa settimana dei mitici anni ’80 e ’90…visto il grande successo. Siamo stati gli ultimi bambini davvero ingenui e candidi, per cui non esistevano i doppi sensi e bastava uno sguardo per farci arrossire il “mondo reale” ci sfiorava appena, ma riuscivamo comunque a capire che non era cosi cattivo. Molti hanno denigrato questi anni ’80 e ’90 ma io non penso che ci sia stato tanto di meglio, dopo. E allora, bentornati nei vostri 20 anni più felici.

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Quanti pianti, emozioni davanti ad uno dei tanti miei idoli, Luis Miguel, il messicano che cantava a Sanremo “Noi ragazzi di oggi” un mondo pieno d’amore e di sogni …non so se vi ricordate la canzone, ve spero di sì. Vorrei giocare un po’ facendo finta che un Matteo Salvini, tanto amato dalle teeneger, canti a modo suo questa bellissima canzone. Come la canterebbe?

Noi, leghisti di oggi, noi                                                                            Con tutti gli africani davanti a noi

Viviamo nel sogno di poi                                                                   Noi, siamo diversi e per nulla uguali

Non hanno bisogno di un paio d’ali                                                                    Ma di barconi eccezionali.

Europa, Puoi farci piangere,                                                                                         Ma non puoi farci cedere

Noi, siamo il fuoco sotto la cenere                                                                 Merkel, Puoi non comprendere                    

Qualcuno ti può offendere                              Noi, non siamo Renzi che in un’ Europa migliore vuole credere                

Devi venire  In Sicilia con noi                                                                                  Siamo i ragazzi di oggi noi                         

 Dai non coloriamo questa città                              E poi vedrai che                                               Siamo noi

Siamo gli intransigenti di oggi noi                                                                              I veri amici che tu non hai

E tutti insieme si può cantare       Ragazzi di oggi

Gli anni ’80 sono il decennio in cui gli italiani (e non solo loro) hanno iniziato a sognare ville, palme, ranch e limousine di lusso, la villa di Malibu della Barbie (colpa d’Alfredo? Come la famosa canzone? No, ma il merito va a Dallas e Dinasty). Ma non c’era e non c’è niente di male nel sognare una vita da ricconi. A chi farebbe schifo alzi la mano.
Si parlava tanto di consumismo, ma il vero consumismo l’abbiamo conosciuto solo negli ultimi anni. Consumare allo scopo di consumare. Prima si comprava, si consumava, per divertirsi. Oggi che si ha più di allora, nessuno sembra godersi niente, perché probabilmente quelle cose che abbiamo non le desideriamo davvero e per averle abbiamo rinunciato a cose molto più importanti.
Pensate al cellulare. Io ce l’ho ma lo detesto. Com’era bello quando eri fuori e nessuno si preoccupava perché non chiamavi o non mandavi un messaggio. Si era più liberi, più spensierati, spesso si arrivava in ritardo non calcolando il calare del sole (allora c’erano le mezze stagioni e le mezze maniche). Oggi se sei in ritardo mandi il messaggio al famigliare o all’ amico perché sai che sennò si preoccupa allora però, ricordo la voce di mia madre che mi chiamava dal balcone, quando era l’ora della cena. Mi ricordo che dal balcone della cucina, le onde arrivavano dritte attraversando 5 isolati. Iniziava con il chiamarmi a voce alta “Loooooo”, per poi passare a “Loreeeee”, “Danaaaaaa”, è quando arrivava a fare lo spelling gridando il mio nome per intero che capivo che forse era tardi…troppo tardi! E così minacce con le ciabatte, minacce con la cinta, minacce con il mestolo fino ad arrivare a vere e proprie intimidazioni: ”Questa sera, appena rientra lo dico a tuo padre”…ah che bei tempi!

Gli anni ’80 e ’90 sono stati un bel sogno, ma il mondo ha voluto prendere un’altra direzione.

Tante cose in meno, ma anche tante cose in più.

Il 1° gennaio 1980 cominciava: con tre anni bisestili, sarebbero stati il decennio più lungo del secolo, insieme agli anni ’20, ’40, e ’60. 3653 giorni, 87.672 ore, 5.260.320 minuti tra i più densi di avvenimenti, di personaggi, di storie di tutto il secondo millennio: Papa Wojtyla e Ronald Reagan scampati per miracolo a due attentati, Mikhail Gorbaciov diede avvio a una rivoluzione che avrebbe portato alla caduta del Muro di Berlino, l’Argentina e l’Inghilterra scesero in guerra per il controllo di quattro pecore e due sassi nelle sperdute Isole Falklands.

Time elesse il computer personaggio dell’anno, alcuni strani personaggi andarono in giro con delle valigette chiamate “telefoni portatili”, mentre in una triste sera di gennaio lo Space Shuttle esplose in cielo. Nessuno sapeva ancora queste cose, così come ancora non si sapeva niente dei boicottaggi alle Olimpiadi. Cacchio cacchio… vuoi vedere che Beppe Grillo già…mmh! Raggi già c’era? Michael Jackson conquistò un successo planetario con “Thriller”, l’avvento del compact disc rivoluzionò la storia della musica, Carlo Rambaldi diede gli ultimi ritocchi al suo E.T. Tim Berners-Lee ultimò il protocollo che ci avrebbe dato internet, il principe Carlo e Diana Spencer si sposarono uniti nel matrimonio del secolo e nella notte più indimenticabile della mia adolescenza, Dino Zoff alzò al cielo la Coppa del Mondo di calcio.

E che dire dei programmi televisivi? Dico, dove lo mettiamo il Drive in, Il pranzo è servito, i quiz di Mike Bongiorno, Quelli della notte, Discoring, 90° Minuto, Supergulp o la Europarade, Giochi senza frontiere, Colpo grosso, non era estate senza Festivalbar e non era inverno se non si vedeva Sanremo, Beautiful…a no, quello ancora c’è …finché ci sono platani per Broocke…si continua!

I supereroi americani, dalle folli avventure di Gigi la trottola e Arale. Ma anche l’horror di Bem, il western di Sam ragazzo del west, e, lo devo ammettere, anche i cosiddetti “shojo”, i cartoni come Candy Candy Candy, Doraymon, Saylor Moon, Lady Oscar, in cui trionfavano i sentimenti e la lacrima facile, pensati forse per noi femminucce dell’epoca, mi torna in mente è la sigla di Mazinga Z o Jeeg, la triste storia di Rocky Joe, i tiri impossibili di Shingo Tamai o Mimi Hagiwara. D’altronde, anche un recente sondaggio lo ha confermato: la prima cosa che noi over 40 rimpiangiamo dell’età dell’oro della nostra infanzia sono proprio gli eroi di cartone: che generazione bruciata…e le sigle di Cristina D’Avena.

Sono stati una delle colonne portanti dei cartoni degli anni ’80 e ‘90: in massima parte nati dalla penna creativa del mitico duo Hanna-Barbera, ma opera anche di altri autori, ecco le mitiche Wacky races, le avventure degli Incredibili, Scooby doo, Inch eye l’occhio privato e tutti gli altri, gia’quelli del 2000 unico occhio privato è quello del grande fratello…vedi quando si nasce passivi!

goldrake

 

Quando ad inizi anni ’80 arrivò dal Giappone questo strano robot gigante con le corna che usciva da un disco volante e usava armi assurde come l’alabarda spaziale, ancora non sapevamo che la nostra adolescenza sarebbe stata segnata per sempre. Tra raggi protonici, spade del diavolo, doppi magli perforanti, sono transitati sui nostri schermi decine di robot, sempre con la stessa storia di fondo, i cattivoni che arrivano dallo spazio, i samurai elettronici ultimo baluardo della Terra. I cartoni erano composte da strane famiglie, dai mitici Barbapapà ai Flinstones, dai Jetsons a quel capolavoro di surrealismo straordinario della famiglia Mezzil, più strane erano, più ci piacevano, queste famiglie a cartoni, con le loro fissazioni così simili a quelle delle nostre famiglie vere. Per poi passare ai cartoni comici: I cartoni delle risate spensierate e del divertimento, dove la facevano da padroni le trovate bislacche dei protagonisti e i suoni onomatopeici, come nel pazzo villaggio pinguino del dottor Slump, o nelle folli avventure di Lamù e Ataru. Senza scordare i mostri di Carletto, i “ciuschi” di Doraemon e la simpatica Pollon, con cui imparavamo la mitologia greca ridendo.

Noi che siamo cresciuti con il motivetto delle pubblicità: Tutti i maschi italiani quarantenni sanno che “per dipingere una parete grande non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello”, grazie al buon vigile che cercava di sbloccare il traffico cittadino paralizzato da un villano in bicicletta. Pennello cinghiale

A ravvivare le feste natalizi, ci pensava un altro soggettone, che almeno non si presentava a mani vuote, come tanti fenomeni delle imbucate alle feste “Tartufon se’ bon se’ bon”.

Telefunken: Con i tedeschi c’era poco da scherzare anche 30 anni fa, come ci ricorda il tipo di questa pubblicità, del resto, il pal color l’hanno inventato loro.

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Quando per fare pubblicità anche ad un orologi, non dovevi essere figa come Belen, noi avevamo lui…diversamente figo. Un altro fenomeno paranormale, il nerd degli Urrà Saiwa. Inutile dire che “Io non l’ho mai provato, Urrà.” divenne un tormentone da usare in tutte le situazioni.

In Fiat devono aver pensato che era inutile spendere soldi anche per un testimonial importante, per vendere la Duna. Quindi, si saranno detti a Torino, tanto vale metterci uno sfigato vessato dalla moglie, tanto per far capire a tutti il target di questa super auto.

Il “cuore di panna” del cornetto Algida è un altro di quei pezzi di vita quotidiana che rimarrà per sempre indelebile nei nostri cuori di adolescenti, con le loro prime cotte.

Un esempio di come non servono milioni per fare una pubblicità che si faccia ricordare: basta saper toccare i tasti giusti e, magari, inventarsi uno slogan a effetto. Anche questa, inevitabile tormentone per tutte le occasioni. Non era Natale se non arrivava prima lo spot della Coca Cola con l’albero illuminato. Un altro esempio di come basti un’idea brillante per fare una pubblicità memorabile.

Il mitico “uomo in ammollo” che ci faceva stare in pensiero per la sua salute era Franco Cerri, nella vita grande chitarrista jazz, che ha inciso oltre 30 dischi.

Gioco tormentone, che si trova ancora oggi in vendita, ma allora era un vero cult. Oggi non avrebbero la pazienza di stare a provare delle ore come facevamo noi. Sei lati, ogni lato 9 quadratini colorati e tutti i lati che si possono muovere sia in orizzontale che in verticale, vi sembra di ricordare, vero? 43.252.003.274.489.856.000 (si, proprio 43 miliardi di miliardi) di possibili combinazioni, e una sola che portava al risultato agognato, tutte e 6 le facce del colore giusto, nello stesso momento! Uscito dalla mente malefica di un matematico ungherese, il cubo di Rubik è stato per noi quello che i Pokemon sono i ragazzini di oggi. Una mania, una febbre da cui non si poteva guarire. In tutti i formati e le dimensioni, ci giocavamo a tutte le ore, a scuola e fuori scuola, anche e soprattutto durante le lezioni e mentre per molti l’unica soluzione possibile era quella di staccare i quadratini colorati e attaccarli dove serviva, ai campionati mondiali c’era chi lo completava in meno di 30 secondi (grr…grr..!!).

Un fenomeno di marketing, prima che una merendina: con le avventure dell’allegra tribù di capo Toro farcito che difendeva le sue scorte di girelle dal Golosastro, un inetto criminale che mirava al tesoro degli scaltri pellerossa. Le loro avventure imperversavano su Topolino e anche in televisione, e in fondo poco contava che la girella in sé fosse buona o meno (a me il cacao risultava un po’ troppo amaro), perché quello che volevamo era sentirci parte della tribù di Toro farcito (pensa te, roba veramente da neuro, ma che volete farci? Siamo stati una generazione di ingenui creduloni).

Con 75 centesimi di euro, 150 lire ci si comprava un ghiacciolo, un mix di acqua e coloranti vari. Ma volete mettere? con 500 lire ne compravi 3 e ti avanzavano 50 lire per 2 gomme da masticare. Un trio di ghiaccioli ha imperversato per le mie estati: il lemonissimo, il fior di fragola e il magic cola, e poi c’era anche “lo squalo” che lasciava la lingua blu, o il jumbo jet con lo stecco di liquirizia che ci lasciava le dita appiccicose tutti passati in secondo piano quando arrivò il mitico calippo, restano comunque uno dei ricordi più freddi delle mie vacanze.

E chi non ha mai usato jeans strappati con le toppe del Camel trophy?

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Un’idea promozionale della Land Rover divenne presto per noi ragazzini sinonimo di avventura ed emozione, del resto, dei raid su jeep organizzati in paesi esotici come Sumatra, Papua Nuova Guinea, il Borneo, l’Amazzonia non potevano non stimolare la nostra fantasia, e bastava appiccicare sulla bicicletta, e poi sui motorini, uno degli adesivi che si trovavano facilmente in giro per sentirsi parte di quell’avventura, anche se poi non ho mai saputo che fine abbiano fatto gli equipaggi italiani in gara (ma in Borneo ci sono i cannibali?). La mia prima enciclopedia, “I libri del come e del perché”, che avevano nomi del tipo “Come funzionano le cose”, “Come le cose cambiano”, “Cosa fanno gli uomini”, e poi i volumi dedicati al mondo animale, e alle piante, allo spazio, ai luoghi del mondo, oltre ai due volumi più consultati dal sottoscritto, quello delle favole, riccamente illustrato, e quello del corpo umano, che aveva un lucido che si poteva sovrapporre alla figura dell’uomo per riconoscere i muscoli e le ossa, troppo forte. Ho imparato molto da questa enciclopedia che non si “dava un tono” ma era molto allegra, come i colori dei dorsi dei suoi volumi. Quando gli ormoni iniziavano a girare quanti maschietti davanti all’ enciclopedia del corpo umano per vedere le differenze tra organi maschili e femminili. Io che leggendoli, rimasi un po’ sconvolta, poiché i genitali venivano chiamati con i propri nomi e non come mi avevano insegnato a chiamarli…e da lì capii subito come viveva la sessualità mia madre. Considerati, come qualcosa di criminogeno o deviante.
Per mitigare, si è pensato di ridimensionare tali peccaminosi organi, assimilandoli a cose, oggetti o ad animali.
e a chiamarli con i nomi assurdi: Patonza, fragolina, patata, fringuello, uccellino, pisellino.

Noi che per vedere un numero di telefono sfogliavamo le pagine bianche, ci divertivamo a leggere i nomi più strampalati: Salsa Rosa, Baratto Lino, Avanti Speranza, Cupo Felice, Topo Lino, Pisello Santo, La Veglia Pasquale, Colluccello Guido, Verga Candida, Culotta Fortunata, Topa Benedetta, Della Sega Felice, Tromba Daria.
Noi che quando arrivava qualcuno che ci era antipatico e chiedeva: “posso giocare?” noi rispondevamo “ehm! La  palla non è mia”