industria 4.0NewTuscia – Quattro punti di Pil nei prossimi tre anni: è questo l’enorme impatto che l’adozione e lo sviluppo della cosiddetta Industria 4.0 potrebbe avere sul sistema italiano, come spiegato dai rappresentanti di Confindustria. Il ruolo chiave è quello svolto dal digitale, che già oggi è una nuova economia di per sé.

I numeri citati da Marco Gay, presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria, sull’impatto potenziale che l’Industria 4.0 potrebbe avere sul sistema italiano sono a dir poco impressionati: incremento del Pil di quattro punti percentuali entro tre anni, che quantificati per le imprese significano un aumento di 110 miliardi di ricavi nei prossimi cinque anni.

Il momento della svolta digitale. La parola chiave dell’immediato futuro è dunque sviluppo del digitale, che deve essere interpretato non solo come un fattore abilitante per una nuova economia, ma, come sostiene ancora Gay, “è anche una nuova economia di per sé”. È anche per questo motivo che diventa fondamentale il fattore tempo, perché le imprese non possono più tardare nel compiere questa svolta digitale, anche se per molti imprenditori restano dubbi e perplessità.

Un pilastro dell’economia. Tuttavia, come spiegano gli analisti, la capacità che le aziende hanno di adottare una cultura digitale in questa fase sarà la chiave di volta per capitalizzare il suo enorme potenziale in futuro. Lo spiega anche il presidente di Confidustria “senior”, Vincenzo Boccia, che dichiara che la tecnologia “è un driver di sviluppo che comporta due sfide, una interna alle fabbriche e una esterna”, con la prima che riguarda i processi e la seconda, invece, un cambio di filosofia che porti a “considerare il digitale il pilastro della politica economica del Paese”.

Troppa lentezza. Un ambito in cui è immediatamente visibile la dualità di velocità del nostro sistema-Paese è l’ecommerce: l’Italia è la seconda manifattura a livello europeo, ma resta terz’ultima nella classifica “digitale” dei Paesi Ue (come confermato dall’ultimo aggiornamento del Desi) e solo 40 mila imprese vendono online, contro le 200 mila in Francia. Inevitabilmente, il fatturato e-commerce italiano incide solo per il 9% sui ricavi, mentre la media Ue è quasi al doppio, al 17%.

Al bivio tra sviluppo e declino. Eppure le condizioni per prendere l’abbrivio ed eliminare questo squilibrio ci sono, perché l’Italia vanta 500 miliardi di export, un brand “Made in Italy “che è il terzo al mondo, e soprattutto una platea di 6.819 startup innovative che danno lavoro a 36 mila persone. Bisogna perciò “convincere” le imprese che non si può più competere senza Ict, e-commerce e cloud, e che il sistema industriale del Paese può crescere se coglie l’occasione del digitale, altrimenti si avvicina al declino.

Crescono le fatture elettroniche. Per fortuna ci sono anche delle note positive che emergono dall’indice Desi (che sintetizza i principali dati su connettività, skill digitali, utilizzo di internet, digitalizzazione delle imprese e della Pubblica Amministrazione), come sul fronte della fatturazione elettronica da parte delle imprese; merito sia della spinta governativa che dell’azione diretta delle società che offrono servizi digitali, ambito in cui primeggia Danea, che ha sviluppato i software gestionali più usati nel panorama italiano e non solo.

La via italiana alla digitalizzazione. Solo continuando a spingere su questi pedali è possibile ridisegnare l’economia del Paese, puntando sul digitale come asset strategico dello sviluppo italiano e trovando, come auspicato da Elio Catania, presidente di Confindustria digitale, una “via italiana alla digitalizzazione“, che passi attraverso l’innovazione completa delle Pmi e dei distretti industriali, due cardini del nostro Paese che vanno “convertiti” al nuovo. Anche perché accumulare ulteriore ritardo nel processo innovativo rischia di relegarci al fondo delle classifiche in maniera non più colmabile, estendendo in eccesso il divario da chi invece viaggia veloce.