Gaetano Alaimo
(NewTuscia) – VITERBO – C’è chi ne fa una questione quasi di principio. Dimenticandosi che in America la politica è un’altra cosa. Non è un talk show alla Barbara D’Urso o alla Bruno Vespa come da noi, sono i fatti. Ciò che la gente concretamente metabolizza quotidianamente, quella tanto antipatica parola che in America continua a essere il dna del giudizio elettorale: il pragmatismo.
In Italia concepire che Donald Trump sia il 45° presidente degli Stati Uniti è per tanti follia, dimenticandoci, prescindendo qui da qualsivoglia vicinanza politica, che Matteo Renzi propone una modifica della Carta Costituzionale senza avere nemmeno la legittimazione del voto. Lo può fare legittimamente perché ha lo staus di presidente del Consiglio, per carità, ma qui si parla di analisi politiche parallele.
Donald Trump e Hillary Clinton, diciamocela tutta, erano entrambi due candidati difficili da digerire. Da una parte il miliardario “sciupafemmine”, dall’altra la moglie dell’ex presidente altrettanto chiacchierato. Trump criticato per essere sessista dal pensiero radical chic tanto in voga in un’Italia che di chic, oggi, ha mantenuto solo la parola, Clinton per inchieste internazionali su vecchie forniture di armi nientepopodimenoché all’Isis. Donald imprenditore di primo livello e costruttore già nelle grazie di Putin, Clinton chiamata all’essere la prima presidente donna Usa dopo il “miracolo” del presidente afroamericano.
Per la prima donna presidente sembrava fatta prima ancora di iniziare a competere.
L’elettorato Usa, come di tradizione, ha sparagliato le carte in tavola e dato prova di assoluto pragmatismo, mettendo all’angolo ogni questione teorica, retorica ed ideologica, e votando laddove serviva. Chiariamoci: che abbia vinto Trump ha stupito anche noi, ma più che altro perché era contro ogni sondaggio. Già, i sondaggi! Il flop sarà ricordato con altrettanta sorpresa della vittoria di Trump.
Investimenti milionari di presunti soloni della comunicazione sondaggista e televisiva caduti miseramente nel vuoto davanti a ciò che conta davvero: l’umore e la volontà degli elettori. Quella volontà sacra nei paesi anglosassoni, molto meno da noi. Ci si stupiva fino a poco tempo fa delle basse % di affluenza al voto nei paesi nord europei e in Usa, quando da noi si arrivava ben oltre l’80%. Salvo, oggi, avere le stesse % di votanti ma effetti diametralmente opposti nell’effettivo esercizio del diritto-dovere del voto.
In America andare al voto come esprimere i propri punti di vista sono all’insegna della totale libertà, e il risultato del voto di oggi lo conferma. In Italia si grida allo scandalo salvo dimenticarsi di tre presidenti del consiglio nominati dalla politica e non dal popolo e, peggio ancora, risultati di referendum popolari smentiti poi sempre dalla politica. Basti ricordare il referendum sull’acqua pubblica e quello sul finanziamento pubblico dei partiti: entrambi del tutto ignorati da esigenze…politiche!
Delle due l’una: fa più scalpore una vittoria netta di un personaggio certamente discutibile ma eletto democraticamente e di cui l’avversaria ammette subito il successo o il parolame italiano e le delegittimazioni quotidiane cui assistiamo in Italia?
La vittoria di Donald Trump, se si avrà la concretizzazione dei principali punti del programma proposto in campagna elettorale, vedrà forse un ammorbidimento delle relazioni con la Russia (e per chi scrive questo è un fatto positivo), un irrigidimento delle politiche sull’immigrazione e meno pressioni sull’Europa per maggiore tendenza all’isolazionismo di datata memoria. Per altri fatti dovremo solo attendere.
Per dirla in breve, è arrivata una lezione di democrazia pragmatica (l’ennesima) dagli Stati Uniti. Che lo si voglia o no.