Federica Marchetti

(NewTuscia) – La scrittrice belga Amélie Nothomb esce con un libro all’anno e, col suo stile originale ed efficace, non delude mai. Anche questa volta con Il delitto del conte Neville ha dato ai suoi lettori una storia ben scritta, coinvolgente e con finale a sorpresa.

il_ritorno_del_gn_2015_con_foto_1_201503241110711_vobttotxuimpp2kg8m00uchgbFacendo l’occhiolino al celebre racconto di Oscar Wilde Il delitto di lord Arthur Savile (almeno nel titolo e nell’avvio della storia) Amélie Nothomb ci porta a casa del conte Neville, aristocratico ormai caduto in disgrazia. Alla vigilia dell’ultima grande festa mondana (che da tempo immemore è l’evento clou per la sua famiglia ridotta a vivere in estrema povertà per tutto il resto dell’anno) scopre che la figlia minore, Sérieuse, è stata trovata di notte nel bosco dalla signora Portenduère, un’energica veggente che lo rimprovera e gli predice l’omicidio per sua mano di un ospite durante il prossimo ricevimento del 4 ottobre al castello di Pluvier. Comincia, così, per un l’uomo un lungo e travagliato processo di scoramento e riflessione, di rimpianti e rammarichi, di scetticismo e preoccupazione.

Il delitto del conte neville

Il delitto del conte neville

Riportata a casa la diciassettenne figlia, egli riflette con la moglie sull’evoluzione della ragazza che, vivace fino a dodici anni e messo, si è improvvisamente spenta senza apparente motivo. Tutta la questione lo porta a ricordare anche la storia di suo padre che, come lui, aveva sacrificato la vita della famiglia per esercitare l’arte di ospitare fino a far morire una figlia di tubercolosi. Ben saldo sul suo progetto dell’ultima festa prima della messa in vendita del castello, il conte Neville immagina chi possa essere l’ospite da uccidere e si fa scudo con l’idea che esistono rancori e rivalità tra gli stessi invitati. Mentre rimugina è la stessa Sérieuse a suggerirgli il nome della vittima: il conte dovrà uccidere lei, ragazza infelice che non vuole più vivere. Le ultime pagine del libro trascinano il lettore in un vortice di incredulità durante il confronto tra il padre e la figlia, entrambi tenaci e irragionevoli sui loro folli propositi. E mentre si avvia la fine del libro, la Nothomb spiazza ancora una volta il suo lettore che troverà piena soddisfazione nell’inaspettata conclusione. Nel breve romanzo, l’autrice fa un uso preciso, elegante, ben dosato delle parole che dispensa con sempre maggior abilità coercitiva (qui inventa vocaboli come il neologismo ressentis tradotto in italiano con sentiti invece di usare il più semplice “sentimento”). E come sempre, maestra di imprevedibili colpi di scena, di scelte spettacolari, di paradossi sostanziali, Amélie Nothomb si accomiata dal lettore che agogna già il suo prossimo libro.

 

Amélie Nothomb è una delle scrittrici più originali degli ultimi anni. Nata a Kobe il 9 luglio del 1967 ha vissuto anche in Cina, in Bangladesh, a New York e a Bruxelles. Ha una sorella, Juliette, poetessa. Nel 1992 ha debuttato come scrittrice con Igiene dell’assassino e da allora pubblica un romanzo all’anno. Isolata nella sua inespugnabile casa, vive scrivendo. Tutti i giorni si alza alle quattro e beve mezzo litro di tè nero, abbigliata con la sua tuta arancio che lei definisce “nucleare”. Ormai è ricchissima. Non ha computer, né telefono e nemmeno la televisione. Scrive ovunque ma sempre a mano, con la penna stilografica. È considerata un’icona, un’autrice di culto da parte dei suoi fedeli lettori, i “nothombophiles”, pazzi di lei e dei suoi personaggi: obesi, assassini, perversi, eccessivi, rabbiosi, ossessivi, voluttuosi.