A cura della D.ssa Gioia Nibbio

La D.ssa Gioia Nibbio
(NewTuscia) -Per devianza si intende comunemente ogni atto o comportamento (anche solo verbale) di una persona o di un gruppo che viola le norme di una collettività e che di conseguenza va incontro a qualche forma di sanzione.
Per il sociologo francese E.Durkheim “ un atto è criminale perché urta la coscienza comune” .
Tuttavia bisogna tener conto del fatto che le risposte della collettività a uno stesso atto variano nello spazio e nel tempo: per questo motivo si parla di relatività dell’atto deviante rispetto alla situazione, al contesto storico/politico e sociale e all’ambito geografico.
In relazione ai vari episodi di cronaca, quando si parla di marginalità e devianza minorile, viene evocata immediatamente nell’immaginario collettivo la figura dell’adolescente che vive una particolare situazione caratterizzata da deprivazione sociale e culturale, familiare ed economica, e dalle scarse potenzialità intellettive, ma con una spiccata dose di intelligenza pratica che lo rende propenso a trasformare il proprio disagio individuale in agiti devianti.
Certamente i ragazzi con serie difficoltà familiari o privi di figure di riferimento normativo e valoriale, che vivono condizioni di svantaggio economico e sociale o che appartengono a gruppi con tendenze antisociali, corrono il rischio di una crisi adolescenziale di più difficile risoluzione rispetto a quella degli altri coetanei.
Le manifestazioni tipiche del disagio individuale giovanile sono molteplici e possono comprendere tendenza all’isolamento, reazioni aggressive ed oppositive, difficoltà nei processi di apprendimento a livello relazionale e sociale.
Le manifestazioni più diffuse di devianza vanno dall’abbandono scolastico, la fuga da casa, la frequentazione di gruppi dalla condotta irregolare, all’abuso di sostanze stupefacenti e alcool, fino alla messa in atto di condotte violente ed atti improntati alla prevaricazione e all’aggressività su altre persone o beni materiali.
Tra i fattori di rischio di origine culturale e sociale, un importante ruolo, da sempre reso oggetto di riflessione all’interno del dibattito sulla devianza minorile, è rivestito dalla famiglia con le sue funzioni normative, ma anche educative e socializzanti.
La famiglia, infatti, costituisce la prima agenzia formativa, in cui il soggetto in via di sviluppo apprende ed interiorizza le prime regole, implicite ed esplicite, le modalità di socializzazione e di convivenza e i primi divieti.
È attraverso l’educazione impartita dai genitori che il bambino acquisisce le norme ed i valori che ne orientano la condotta; ed è a partire da tale presupposto che molti studiosi hanno iniziato ad interrogarsi sulle conseguenze che possono generarsi dalla carenza o assenza delle figure genitoriali, dalla caratterizzazione di famiglie multi-problematiche, basate su stili educativi carenti, inadeguati o incongruenti.
Tuttavia il legame tra situazioni di deprivazione culturale e di povertà economica e la determinazione di condizioni di devianza minorile non è così scontato come potrebbe sembrare: in realtà, la devianza degli ambienti poveri ha una maggiore presa sulla collettività sociale, in quanto è più visibile; invece, alcune forme di devianza, oggi più frequenti negli ambienti benestanti, si sviluppano in aree private e protette, meno visibili e dunque meno suscettibili di essere sanzionate, ma non per questo meno presenti di quelle forme di devianza diffuse negli ambienti poveri.
Il terzo gruppo di indicatori di disagio, considerati un rischio per il passaggio a condotte di tipo deviante, è costituito dai fattori psicologici e relazionali.
Tra questi ritroviamo due importanti elementi: il rifiuto dei pari e l’aggregazione selettiva tra compagni. Prima di descriverli, è importante operare una premessa.
Il gruppo dei pari riveste un ruolo fondamentale, al punto da essere considerato, come la famiglia e l’istituzione scolastica, un’agenzia formativa e di socializzazione, seppur di tipo informale.
Il gruppo dei pari è una forma di aggregazione sociale spontanea tipica dell’età adolescenziale e giovanile che riveste una grande importanza nel processo di crescita degli individui .
Nel momento in cui gli adolescenti avvertono il giusto bisogno di prendere le distanze dalla famiglia e dalla scuola per cercare una propria dimensione individuale più autonoma, il gruppo offre accoglienza, protezione e riconoscimento per la nuova identità che essi vanno formando.
Quando ciò non avviene, i giovani finiscono con lo sperimentare sensazioni di rifiuto da parte del proprio gruppo di riferimento; in particolar modo giovani aggressivi o violenti, che non riescono a farsi accettare dai propri pari, a causa del rifiuto di questi ultimi, tendono ad aggregarsi selettivamente con altri compagni dai comportamenti devianti o più specificamente violenti e prevaricatori e a strutturare rapporti di sfiducia con il resto dei pari.
In tale prospettiva il rifiuto e l’aggregazione selettiva tra pari costituiscono due importantissimi indicatori di rischio di devianza minorile.
Infine, la delinquenza si caratterizza per quelle condotte che, violando le norme del codice penale, si configurano quali reati; e poiché tutti i minori che entrano nell’area penale hanno attraversato l’area del disagio e della devianza senza aver ricevuto risposte adeguate, è necessario intervenire in maniera tempestiva sulla devianza minorile per prevenire la delinquenza che, una volta radicatasi in età adulta, sarà più difficile sradicare.
Riferimenti bibliografici
BACCHINI D, VALERIO P. (2001). Giovani a rischio. Interventi possibili in realtà impossibili, Franco Angeli, Milano.
ABBRUZZESE S. (2008). Bullismo e percezione della legalità. Operatori delle scienze psicosociali, del diritto ed educatori a confronto. Franco Angeli, Milano.
Dott.ssa Gioia Nibbio
Psicologa clinica ,Psicoterapeuta in formazione presso la scuola di Psicoterapia Umanistica –Integrata ASPIC , sede di Roma .
Collabora con la sede ASPIC di Viterbo e svolge in forma privata attività di consulenza e diagnosi psicologica .
ukj